Dieci minuti di consapevole ricerca del sè

Il film “Dieci minuti”, diretto da Maria Sole Tognazzi e liberamente ispirato dall’omonimo libro di Chiara Gamberale, è da poco uscito al cinema per darci una lezione di vita non banale. In un periodo molto complesso della propria vita, la protagonista, una giornalista che ha appena perso il marito e il lavoro, riceve dalla terapista un’indicazione apparentemente strana: fare per soli dieci minuti, ogni giorno per un mese, qualcosa che non ha mai fatto. Per dieci minuti al giorno, dunque, lei deve fare, in maniera consapevole, qualcosa di nuovo e di lontano dalla propria comfort zone (e magari qualcosa a cui ha spesso pensato senza avere il coraggio di mettersi alla prova). Le attività che la protagonista, Bianca nel film e Chiara nel libro, sceglie di fare sono tra le più disparate: andare dall’estetista, seguire una lezione di hip-hop, cucinare dei pancake, passare il tempo davanti a un quadro di Vermeer e tante altre.

Ciò che questa storia trasmette non sono certo gli esempi di attività nuove da provare bensì ci consente di immergerci nel percorso di guarigione di chi ha vissuto, e sta vivendo, un forte dolore: non si può, infatti, guarire tutto d’un colpo, come spesso si vorrebbe, ma si tratta sempre di un percorso, che potrebbe anche partire da soli dieci minuti giornalieri per poi portare ad aprirsi alla realtà esterna evitando di crogiolarsi nel dolore. Nonostante possa sembrare quasi impossibile trovare questi fatidici dieci minuti, data la freneticità della vita contemporanea, sui social questa pratica è diventata una moda e molti si sono confrontati con questo “metodo” prendendo lezioni di nuoto o dedicandosi ad attività come la pittura o la ceramica.

A proporre la pratica in questione è la psicologa Umberta Telfener, o meglio la dottoressa T., che dà il via all’uso di questa tecnica per rinascere. La pratica può essere, però, anche ricollegata a Rudolf Steiner (1861-1925) e all’antroposofia da lui fondata. Il metodo dei dieci minuti, infatti, seppure non possa essere direttamente attribuibile a Steiner, si inserisce bene all’interno della sua teoria basata su principi di crescita personale e consapevolezza.

Steiner sottolineava, infatti, l’importanza dell’autoeducazione, basata soprattutto su discipline olistiche che coinvolgano mente, corpo e spirito: si riferiva a pratiche come arte, movimento e meditazione.  La medicina antroposofica, fondata insieme alla dottoressa Ita Wegman, in realtà, utilizzava sia terapie convenzionali che non: molta importanza viene data ai rimedi naturali, alle terapie artistiche, all’euritmia terapeutica (ovvero una forma di movimento espressivo) e alla consulenza biografica, usata per trattare il paziente in modo comprensivo. Steiner sosteneva, infatti, che la salute dell’individuo dipende dall’equilibrio dinamico tra tutte e tre le componenti dell’essere umano.

«Durante tutta la sua vita l’uomo assorbe in sé, dal mondo esterno, spiriti elementari. In quanto si limita a guardare gli oggetti esterni, lascia semplicemente entrare in sé gli spiriti senza mutarli; se cerca invece di elaborare le cose del mondo esterno nel suo spirito, per mezzo di idee, concetti, sentimenti di bellezza e così via, egli salva e libera quegli spiriti elementari» (R. Steiner, Gerarchie spirituali e loro riflesso nel mondo fisico, Milano, 2020, p. 33).

Nell’antroposofia, dunque, la ricerca del sé è fondamentale e si inserisce in un processo continuo di trasformazione personale. Come molte pratiche alternative, la medicina antroposofica ha affrontato critiche, in particolare riguardo alla sua base scientifica e all’efficacia di alcuni dei suoi trattamenti. Tuttavia, ritengo sia utile, al di là dell’efficacia e della scientificità della teoria, dare risalto a quanto sia importante prendersi cura anche del proprio spirito e della propria mente, oltre che del proprio corpo, e come lo si possa fare attraverso l’arte e il movimento che spesso vengono ritenuti non essenziali nella quotidianità.

«L’antroposofia è una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo. Sorge nell’uomo come una necessità del cuore, della vita del sentimento, e può essere pienamente giustificata se soddisfa questo bisogno interiore» (R. Steiner, Anthroposophical Leading Thoughts, Londra 1998, traduzione mia).

Il metodo dei dieci minuti offre un modo pratico per mettere in atto i principi di questa teoria. La psicologa Umberta Telfener, infatti, propone un modo molto efficace per uscire dalla routine, prendersi del tempo per sé stessi e dedicarsi a queste attività spesso poco diffuse. Ciò risulta sempre più difficile in una società come la nostra, governata dal mito della performance e da ritmi accelerati che non tengono conto del tempo che si dovrebbe dedicare alla propria persona. Dobbiamo tutti tentare quotidianamente di ritagliarci del tempo libero che ci permetta di uscire dalla nostra zona di comfort, che spesso diventa una monotona sfera invalicabile da cui non possiamo uscire, e consegna a mente e anima paure e preoccupazioni.

Il risultato della pratica nel libro e nel film è proprio quanto Steiner auspica, ovvero un viaggio di trasformazione e conoscenza del sé: una ricerca del sé e un’autoesplorazione che permette di scoprire e ri-scoprire sia la propria interiorità che la realtà circostante. Si tratta di una vera e propria metamorfosi che permette di risollevarsi da un periodo molto difficile. In una realtà dominata dalla frenesia e dall’iperattività, da esigenze continue emotive e spirituali che vengono messe a tacere perché il “dovere” ha più importanza, dedicare questi fatidici dieci minuti alla cura di sé stessi è un atto non banale di ribellione contro i ritmi della quotidianità.

 

NOTE
[Photocredit Hatertse Vennen via Unsplash]


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